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Rassegna Stampa: da Silvae “EFFETTI DELLA RIFORMA CARTABIA SUGLI ILLECITI AMBIENTALI E VENATORI”

EFFETTI DELLA RIFORMA CARTABIA SUGLI ILLECITI AMBIENTALI E VENATORI

17/03/2023
di Alessandro IPPOLITI*
BREVI E SEMPLICI CONSIDERAZIONI IN MERITO

 

20230114_152038La nuova legge Cartabia (dal nome del Ministro di Grazia e Giustizia pro tempore), contenuta nel Decreto Legislativo n. 150/2022 è entrata pienamente in vigore nel nostro ordinamento giuridico Italiano a far data dal 30 dicembre 2022.  Essa, per quanto riguarda l’ambito di applicazione penalistico, ha modificato circa duecento articoli del codice di procedura penale, nonché alcune decine di articoli presenti nel codice penale e in leggi varie. Con il presente scritto, soffermiamo e focalizziamo la nostra attenzione sull’ “impatto” che tale riforma produrrà sui reati ambientali e venatori, facendo una brevissima premessa anche sulle principali modifiche delle indagini preliminari, al fine di poter meglio capire nella sua totalità, il reale cambiamento. È pertanto di fondamentale importanza il costante aggiornamento della Polizia Giudiziaria tutta e, per quanto riguarda i temi specifici trattati in tale articolo, maggiormente la preparazione e professionalità dei Carabinieri Forestali.

Nell’ambito delle indagini preliminari, ecco le modifiche più importanti e radicali.  Cambia l’articolo 335 c.p.p., in forza del quale il PM deve iscrivere la notizia di reato che contenga un fatto ben determinato e non inverosimile. Il nome dell’indagato deve essere aggiunto, immediatamente o successivamente, se sussistono indizi a suo carico. L’indagato, durante l’identificazione eseguita dalla PG ex art. 349 c.p.p.  sarà tenuto a dichiarare anche il recapito telefonico di casa, lavoro, dimora/domicilio, eventuale PEC.  La PG potrà assumere sommarie informazioni (con il consenso dell’indagato e la richiesta al PM) anche a distanza.  Ai sensi del riformato art. 357 c.p.p. la PG, nell’assumere le sommarie informazioni, dovrà audioregistrare la deposizione (solo per i reati indicati nell’ art. 407, comma 2 del c.p.p. o a richiesta dell’indagato/imputato).  Nel caso in cui le dichiarazioni siano rilasciate da minori, infermi di mente o persone vulnerabili, queste devono essere sempre videoregistrate, pena l’inutilizzabilità. La stessa disciplina si applica alle dichiarazioni rese al difensore durante le investigazioni difensive. Anche per l’incidente probatorio, viene aggiunto l’obbligo di documentare le prove. In tema di perquisizioni viene modificato l’art. 352 c.p.p; dopo la trasmissione, entro 48 ore, del verbale, il PM deve convalidare nelle successive 48 ore con decreto motivato; aggiunto inoltre il comma 4 bis all’articolo, che permette al sottoposto a perquisizione, di poter fare, entro 10 giorni dalla convalida, opposizione al giudice (che ben potrebbe quindi disporre l’annullamento della convalida).

Di estrema importanza, la modifica apportata all’art. 405 c.p.p. in relazione ai termini per la conclusione delle indagini; essi sono, nella norma, 12 mesi dal momento dell’iscrizione del reato nel registro delle notizie di reato, 6 mesi per le contravvenzioni e 18 mesi per i reati dell’art. 407 comma 2 c.p.p. È possibile, solo per la complessità delle indagini (non più per giusta causa), che il PM possa chiedere al GIP una sola proroga (altro nuovo limite) di massimo 6 mesi. Dalla conclusione delle indagini, il PM, disponendo sempre dello spatium deliberandi, deve esercitare l’azione in giudizio entro 3 mesi; i mesi sono 9 (e non più 15) per i reati ex 407 comma 2 c.p.p. Se, viceversa, il PM volesse chiedere l’archiviazione, deve eccepire l’impossibilità degli elementi acquisiti di consentire una ragionevole previsione di condanna (muta quindi il vecchio criterio della infondatezza della notizia di reato e quindi l’impossibilità di sorreggere l’accusa in giudizio). Su tali basi, il PM deve chiedere l’archiviazione solo quando non c’è una ragionevole previsione di condanna.

Modifiche alla procedibilità di numerosi reati.

La ragione di tali modifiche è sempre nell’ottica di migliorare l’efficacia e l’efficienza del processo penale. Si amplia il novero delle fattispecie procedibili a querela e, in relazione ad altre per le quali già era prevista tale procedibilità, si modificano semplicemente i dettati normativi specificando, dove non fosse presente, la necessità della querela. Tale modifica presenta, altresì, una disciplina transitoria: nel caso in cui non sia già stato avviato un procedimento penale per quei reati procedibili d’ufficio, ma sottratti adesso all’ambito di tale procedibilità, il termine, entro il quale la persona offesa deve necessariamente presentare querela, inizia a decorrere dal 31 di dicembre del 2022. Viene prevista la “remissione tacita di querela” nel caso in cui il querelante, chiamato in qualità di testimone, non compaia in udienza senza giustificazione (art. 152 c.p.).

Dopo tale breve considerazione andiamo ora ad esaminare i temi di nostro preciso interesse alla luce di suddetta riforma.

Innanzitutto, si inquadrano nel novero di reati ambientali e venatori tutte quelle azioni criminose volte, dolosamente o colposamente, a ledere, danneggiare o porre in pericolo (per alcuni reati è infatti previsto il mero pericolo derivante dalla condotta, e non anche il danno) la biodiversità, causando una perdita non indifferente al patrimonio naturale. All’interno di questo vasto gruppo di reati previsti dalla legislazione ambientale troviamo, per esempio: incendio boschivo (423bis c.p.), inondazione frana o valanga (426 c.p.), crollo di costruzioni o altri disastri dolosi (434 c.p.), avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (439 c.p.), uccisione di animali (544bis c.p.), maltrattamento di animali (544ter c.p.), distruzione o deturpamento di bellezze naturali (734 c.p.). Questi sono soltanto alcuni dei reati previsti. La lista è stata ulteriormente estesa dalla L. 68 del 2015 che ha inserito, all’interno del codice penale, il nuovo titolo VI-bis rubricato “dei delitti contro l’ambiente”, contenente alcuni reati particolarmente gravi e con pene piuttosto severe (fino a 15 anni senza aggravanti), tra i quali: inquinamento ambientale (452bis c.p.),  morte o lesioni come conseguenza del delitto di inquinamento ambientale (452ter c.p.), disastro ambientale (452quater c.p.) e traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività (452sexies c.p.).

Con riferimento ai soli reati ambientali più gravi (e non all’utilità dell’intera nuova disciplina), mi sento di poter muovere una riflessione nei confronti di una modifica apportata dalla riforma Cartabia. Faccio riferimento alla nuova disciplina della improcedibilità dell’azione penale (e successiva cessazione definitiva del processo) in seguito all’inerzia duratura della macchina decisoria. Per comprendere a pieno il portato della nuova normativa bisogna analizzare in maniera congiunta il disposto normativo dei nuovi artt. 161bis c.p. e 344bis c.p.p. In forza di tali disposizioni, il decorso del termine della prescrizione cessa in seguito alla pronuncia della sentenza di primo grado (ergo, solo la sentenza di primo grado deve avvenire entro il termine di prescrizione del reato). Ma, l’art. 344 bis c.p.p. aggiunge un’ulteriore disposizione; il tempo per poter effettuare gli eventuali giudizi d’appello e di Cassazione non è sine die; essi devono essere svolti entro 2 anni e 1 anno (rispettivamente per Appello e Cassazione), decorrenti dal novantesimo giorno successivo alla scadenza del termine del 544 c.p.p. (termine per la motivazione della sentenza). Sembrerebbe così che questa nuova disposizione dia finalmente attuazione a quanto era disposto dalla L. 89/2001 (c.d. Legge Pinto), vista l’impossibilità di poter rispettare i termini da essa imposti (3 anni primo grado, 2 secondo, 1 Cassazione).

Con il nuovo art. 344bis, invece, il mancato rispetto di questi termini imposti arreca una sanzione molto gravosa, l’improcedibilità dell’azione penale. Il superamento di questi termini per appello e Cassazione determina l’immediata cessazione del giudizio, il processo si archivia e il caso non è più perseguibile.

Mentre lo stesso art. 344bis prevede per alcuni reati la non applicabilità di tale disciplina (tutti i reati puniti con l’ergastolo, anche in forza di circostanze aggravanti), e per altri (terrorismo, mafia, violenza sessuale ecc.) la possibilità di prorogare i termini (fino a 3 anni per l’appello e 1 anno e 6 mesi per la legittimità), nulla dice riguardo ai reati ambientali più gravi. Questo vuol dire che per reati quali per esempio il disastro ambientale, gravissimo, e per questo punito fino a 15 anni, ci deve essere il rispetto totale dei termini imposti dall’art 344bis, con la susseguente possibilità che tali reati, non soggetti alla possibilità di proroghe[1], siano destinati all’improcedibilità data la difficoltà degli accertamenti e la lentezza del processoA mio avviso l’esclusione di tali reati potrebbe comportare delle serie problematiche, trattandosi comunque di fattispecie criminose molto gravi a matrice pluri-offensiva (dannosi per la natura e per le persone). Con ciò però, voglio muovere una riflessione critica in relazione ai soli reati ambientali, e non anche nei confronti del nuovo istituto della improcedibilità, il quale, a mio avviso, è uno strumento utilissimo per garantire una maggiore celerità del processo ed evitare un pregiudizio eccessivamente lungo al soggetto sottoposto al procedimento penale.

Fuori da queste ipotesi particolarmente gravi, nell’ambito degli illeciti ambientali e venatori, si riscontra la presenza di una moltitudine di reati minori, contravvenzionali e quindi puniti con l’arresto o l’ammenda. Illeciti di questo tipo sono particolarmente presenti nell’ambito della caccia, riguardanti il mancato rispetto delle regole di comportamento imposte durante l’attività venatoria. La norma di riferimento è la L. 157 del 1992, contenente disposizioni “per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”. Vero è che, a norma dell’art. 30 di tale legge, le sanzioni penali previste per tali illeciti sono pressoché minime e di scarsa entità. Tutte norme che, al di là della sospensione o della revoca della licenza di caccia (previste nelle violazioni più gravi), sono effettivamente poca cosa sotto il profilo penalistico. Come già anticipato, tutti reati contravvenzionali con pene detentive brevissime (il massimo è, solo per alcuni reati, l’arresto fino ad un anno) e pene pecuniarie quasi tutte oblazionabili. Tutti procedimenti che terminavano, appunto, o con l’oblazione nei casi più fortunati (il cui pagamento estingue totalmente il reato compiuto ex art. 162 e 162 bis del c.p.), o addirittura con la quasi certa prescrizione dei reati contestati.

A mio avviso, questa situazione non andrà a cambiare con detta riforma, rimanendo, da un lato, sempre lo stesso scarso interesse a perseguire tali illeciti, ma, dall’altro, sono stati aggiunti dei precisi termini da rispettare, pena l’improcedibilità.

A mio parere, è inutile continuare a prevedere come reati di queste fattispecie, alcune delle quali neanche oblazionabili (e quindi più delle altre destinate a finire nel dimenticatoio processuale data l’impossibilità del pagamento e la quasi certa sicurezza della prescrizione del procedimento penale). Per quelle oblazionabili, almeno, è previsto il pagamento della somma che, estingue il reato, funge da introito statale e diminuisce il carico di lavoro per procure e tribunali; ma anche qui, e se il soggetto non pagasse? Avremmo un processo che continua, sul quale incomberà sempre più l’ombra della certa prescrizione. E dunque, non sarebbe meglio, a questo punto, depenalizzare tutte queste fattispecie e trasformarle in sanzioni amministrative? Si avrebbe così un minore intasamento dei tribunali, un carico di lavoro leggermente ridotto per polizia giudiziaria e procure, nonché un pagamento della sanzione più certo e sicuro (venendo così affidati tali procedimenti alle Prefetture e, per la fase esecutiva, direttamente all’Agenzia delle Entrate Riscossione senza dover attendere una sentenza di carattere penale che, nei casi in esame, difficilmente arriverà). Se questo non fosse prospettabile, allora che almeno siano rese oblazionabili tutte le fattispecie presenti, per le motivazioni suddette.

Un’ultima interessante considerazione sul tema. In materia di furti, la riforma Cartabia ha attuato un cambiamento sostanziale sulla procedibilità, prevedendo per tutti i furti, tranne per la fattispecie aggravata dell’art 625 c.p. numeri 7 (con esclusione dei beni esposti alla pubblica fede) e 7bis, la procedibilità a querela della persona offesa. In materia venatoria, sussiste una lieve e sottile differenza tra l’uccellagione (art. 3 L. 157/1992) e il furto venatorio; entrambe le fattispecie consistono nel sottrarre all’ambiente animali vivi (ma anche morti dopo averli uccisi secondo parte della giurisprudenza). La riflessione deve muovere dal disposto dell’art 1 della legge 157/1992, dove si chiarisce che “la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale”. In forza di ciò, sottrarre animali all’ambiente, vuol dire attentare al patrimonio statale, attuando un vero e proprio furto ai danni dello Stato. La sentenza della V sez. della Corte di Cassazione del 24/05/2022, n. 20221, ha dichiarato che la sottrazione o uccisione di animali da parte di chi non è in possesso della licenza (bracconaggio) costituisce un furto venatorio, e pertanto si trasforma in furto aggravato ai danni dello Stato (essendo gli animali patrimonio indisponibile dello Stato), e come tale va sanzionato. L’uccellaggione, nonostante la condotta sia pressoché la stessa, prevede invece che a commetterlo sia un soggetto munito di licenza (e per questo, non trattandosi di bracconaggio, le pene sono considerevolmente più lievi: arresto fino ad un anno o l’ammenda da € 774.00 ad € 2.065,00  e quindi oblabile); il bracconaggio può essere commesso solo da chi non è in possesso della licenza, oltre a tutte le altre condotte di colui che caccia all’interno di Parchi o Riserve e/o abbatte animali nei cui confronti la caccia non è consentita o assolutamente vietata. Inoltre, nell’ipotesi di furto venatorio, trattandosi di furto aggravato ex 625 c.p., le pene vanno dai 2 ai 6 anni (il che, comunque, permetterebbe l’applicazione della particolare tenuità del fatto così come riformata dalla riforma Cartabia).  Si è detto come anche le circostanze aggravanti del furto semplice siano ormai tutte state inserite nel novero dei reati procedibili a querela; tutte tranne due, il numero 7 e 7bis dell’art 625 c.p. in cui come abbiamo visto sicuramente può rientrare anche il furto venatorio.

Conclusioni

 

  • 1-In relazione ai reati ambientali più gravi (cosi come per gli altri menzionati), la nuova riforma avrebbe potuto prevedere la possibilità di proroga dei termini processuali, in considerazione anche della complessità degli accertamenti tecnici che tali indagini specificatamente richiedono.
  • 2-Riguardo invece ai reati in tema di caccia, previsti nella Legge 157/92, con esclusione del furto venatorio, gli stessi con tale riforma sembrerebbero subire un’ulteriore “declassificazione” nel senso che, ancora più di prima, non troveranno in sede penal-processuale il doveroso accertamento del fatto commesso (con l’applicazione della relativa sanzione) che, come abbiamo visto, difficilmente arriva nel processo penale. Sarebbe auspicabile sul punto una pacata e seria riflessione, con l’introduzione di nuovi istituti giuridici di diritto amministrativo che, nello specifico, possano in maniera celere ed efficace risolvere le criticità delle quali si è parlato.

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