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ARCI Caccia: “Animal Partito”. Gli italiani non lo vogliono

 

 

E’ da qualche tempo che l’ARCI Caccia denuncia la strumentalità, la faziosità e la provocazione offensiva nei confronti dell’intelligenza dei cittadini, di quegli umani in politica che ritengono che gli animali debbano fare un Partito.

Il sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani commissionato da LA7 conferma, se ancora ce n’era bisogno, che gli italiani decidono di testa loro e, vivaddio, non inseguono speculazioni elettorali di politici in servizio permanente.

Le intenzioni di voto degli italiani, sempre più costretti all’astensionismo per mancanza di proposte politiche credibili e utili alla loro vita quotidiana, danno il “Partito degli animali”, all’1,4% dei voti.

La mimetizzazione di politici di lungo corso, predatori di voti, è stata smascherata già alle prime presentazioni del “nuovo soggetto”. A poco è valsa la tanto sbandierata sponsorizzazione ufficiale dell’on. Silvio Berlusconi ed avere nel “cast” attrice protagonista dell’Animal Partito, la famosa Ministra on. Brambilla. I voti non si trovano con le “boutades”.

Le donne e gli uomini di questo Paese non si lasciano “affabulare”, hanno una straordinaria coscienza ambientalista e sono consapevoli di quali siano i problemi reali dell’ambiente o della salute e conoscono bene l’importanza di accrescere la biodiversità, tutelarla, goderla con parsimonia sapendo di dovere rispetto e riconoscimento agli agricoltori, agli allevatori attivi e produttivi custodi delle campagne italiane.

Il contesto conferma che per la gestione del patrimonio faunistico del Paese si aprono grandi spazi: è possibile promuovere una cultura unificante dell’approccio ai temi ambientalisti dei cittadini delle grandi metropoli e di quanti vivono e sono presidio, economia e lavoro delle campagne.

Se non ora quando? Ci sono le condizioni per la caccia e chi la pratica di affermarsi come utili alla salvaguardia delle tradizioni rurali e fonte di risorse per la permanenza degli agricoltori nelle aree svantaggiate.

Occorre con sollecitudine liberare da zavorre e parassitismi gli enti gestori della fauna selvatica, in particolare gli ATC – spesso autoreferenziali – e asserviti a dinamiche di sopravvivenza delle Associazioni e non degli interessi degli agricoltori e della biodiversità del territorio che governano.

Purtroppo, il mondo scientifico, i tecnici sono più predisposti ai divieti e ad assecondare o proporre il “pronto caccia” che alla produzione attiva di ambienti per la fauna selvatica.

Associazioni con doppie rappresentanze, consulenti, tecnici, Comitati degli ATC, in molte realtà hanno volutamente smarrito i compiti positivi e gratificanti affidati loro dalla legge.

A chi giova? Sicuramente non al Paese ed ai cacciatori!

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