Il Rapporto sullo Stato del Capitale Naturale in Italia, redatto dal Ministero dell’Ambiente, giunge alla sua seconda edizione. Si tratta di un nuovo strumento di gestione delle politiche pubbliche introdotto di recente a livello mondiale, europeo e nazionale. Quanto sia importante il Capitale Naturale è stato riconosciuto dalle Nazioni Unite, attraverso la definizione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 (SDGs). Indirizzo poi recepito dall’Unione Europea (Settimo programma quadro e strategia per la biodiversità) e dalla normativa italiana (Collegato ambientale, Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile). Ma cos’è esattamente il Capitale Naturale?
La nostra prosperità economica e il nostro benessere dipendono dal buono stato del Capitale Naturale, compresi gli ecosistemi che forniscono beni e servizi essenziali: terreni fertili, boschi, mari produttivi, acque potabili, aria pura, impollinazione, prevenzione delle alluvioni, regolazione del clima. Il concetto di “Capitale Naturale” è stato strumentalmente mutuato dal settore economico per indicare il valore in termini fisici, monetari e di benessere offerto dalla biodiversità al genere umano. Il Rapporto si pone l’obiettivo prima di tutto di effettuare quantificazioni biofisiche delle varie forme di “Capitale Naturale” procedendo a un inventario sistematico e dinamico di tutti i principali stock. Per questo il Comitato per il Capitale Naturale ha organizzato una rete di raccolta dati coinvolgendo istituti di ricerca e amministrazioni pubbliche, e lo sviluppo di questo percorso richiede uno sforzo volto alla mobilizzazione delle risorse e al coinvolgimento di tutti gli stakeholders legati al Capitale Naturale del Paese.
In questo quadro un’importanza crescente avranno le valutazioni, anche economiche, dei servizi ecosistemici: attività naturali che generano un “valore” per la vita degli uomini come la purificazione naturale di acqua e aria, l’assorbimento di anidride carbonica, la difesa idraulica, la biodiversità, la rigenerazione delle fertilità dei suoli, la produzione di cibo e fibre tessili, la mitigazione del clima. Si tratta di attività che la natura svolge gratuitamente e il cui valore economico viene oggi valutato dai nuovi sistemi di “contabilità ambientale”.
Un lavoro complesso ma indispensabile per garantire all’interno delle politiche pubbliche e delle attività economiche di mercato la conservazione e la valorizzazione dello stock naturale, combattendo sprechi e inquinamento e riconoscendo ai territori benefici economici delle attività naturali.
Sempre più importanti saranno la tassazione ambientale o la considerazione dei costi ambientali e del valore nelle risorse nei sistemi di tariffazione (vedi ad esempio nel servizio idrico), nonché le valutazioni dell’efficacia ambientale della spesa pubblica in materia di ambiente.
La tassazione ambientale in Italia è in crescita dal 1980 ad oggi, passando da 20 a circa 60 miliardi di euro l’anno (3,5% del Pil e 8% del totale delle imposte e contributi). Solo una piccola parte di questo gettito deriva da imposte che hanno come base imponibile l’inquinamento o l’uso di risorse (solo l’1%). È evidente quindi che questo tipo di tassazione è destinato a crescere nei prossimi anni, riducendo eventualmente quella sul lavoro.
Un’altra ipotesi di impatto riguarda la distribuzione sui territori (e non solo sull’economia media nazionale) del valore economico delle risorse o dei prelievi sugli inquinamenti. Un modo per favorire le aree economicamente deboli, come la montagna, o particolarmente inquinate (le città), distribuendo reddito integrativo legato ad attività naturali (l’assorbimento di co2 nei boschi, la purificazione delle acque). Tutte esperienze oggi ancora molto
contenute.
In conclusione, il Rapporto è uno strumento utile per modificare in parte anche le politiche economiche e la distribuzione della ricchezza nel nostro Paese. Speriamo che ne venga fatto tesoro.